Lunedì si è aperto in Tunisia il processo in contumacia a Ben Alì e a sua moglie Leila, che ha condannato l'ex dittatore a 35 anni di carcere a al pagamento di 91 milioni di dinari (circa 45 milioni di euro). L'ex Presidente non era presente: Ben Alì si trova, infatti, dal gennaio scorso, dopo le rivolte che lo hanno fatto cadere, a Gedda, in Arabia Saudita.
Pierre-André Chapatte, giornalista del giornale svizzero Le Quotien Jurassien, lancia l'idea che il processo all'ex dittatore sia prematuro. Perché?
«Prima di tutto perché gli accusati sono in salvo in Arabia Saudita e le autorità del Paese non hanno mai risposto né al mandato di estradizione, né al mandato di arresto internazionale che pende sulla testa dell'ex presidente (…). Senza la presenza degli imputati questo processo non potrà mai soddisfare l'esigenza di giustizia dei tunisini. Questo processo è prematuro perché, sei medi dopo l'inizio delle contestazioni, la Tunisia non ha ancora ristabilito lo Stato di diritto. La giustizia, che era sottoposta al potere esecutivo, deve essere riformata per poter essere indipendente», sostiene Chapatte. E questo avverrà solo con la nuova Costituzione. Ma le elezioni dell'Assemblea Costituente che deve redigerla sono appena state rimandate al 23 ottobre prossimo.
“Su un processo in questa fasi di transizione politica pesa un doppio dubbio: quello del Governo provvisorio di voler dare una prova a una popolazione che non vede ancora arrivare i frutti della Rivoluzione e quello delle elite del vecchio regime ancora al potere che vogliono chiudere con il passato”, conclude.
Qui l'articolo originale in francese.
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